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INTERVISTA DI SABRINA D'ORSI A PIERO GILARDI, pittore

torinese, fondatore dell'Associazione Culturale Internazionale "Ars Technica".
Come nasce e come si sviluppa l'Associazione Ars Technica, di cui lei è fondatore e presidente?

 L'associazione "Ars Technica" si è costituita a Parigi nel 1989 per iniziativa di alcuni artisti e scienziati che si erano incontrati più volte al Parc de La Villette.
In seguito ad un convegno dal titolo "Vers une culture de l'interactivité?"
che si tenne nel maggio 1988 e che mise a confronto artisti, tecnologi e scienziati internazionali nacque l'esigenza di costruire una rete permanente di scambio e di collaborazione tra studiosi e artisti allo scopo di definire il significato, lo status linguistico e le potenzialità espressivo-creative dell'interattività.

 L'interesse iniziale degli artisti che hanno preso parte a questo esperimento era quello di lavorare su dei principi scientifici.
Per compiere questa ricerca in maniera organica era necessario creare un rapporto interdisciplinare, organizzare un gruppo di studio nel quale analizzare determinate tematiche e applicarle al lavoro creativo ma anche trovare degli interlocutori istituzionali ma anche aziendali che collaborino alla realizzazione di alcuni eventi.
L'obiettivo che ci eravamo posti infatti era quello di esporre il risultato delle nostre ricerche, i materiali che venivano creati in seguito a questi studi d'equipe.
Esporre significava organizzare delle mostre, degli eventi, e questo lo si è fatto in questi anni attraverso una collaborazione con il Comune di Torino che ci ha permesso operativamente di realizzare "Ars Lab" e una conferenza che si è tenuta nell'ottobre del 1993 presso la Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino dal titolo:
"Tecnoscienze, intuizione artistica e ambiente artificiale".

 In realtà questi eventi sono abbastanza radi, hanno un'impostazione biennale, e questo fa si che spesso occorre scegliere le opere da esporre molto tempo prima per esigenze organizzative, riuscendo solo di rado ad esporre realmente il risultato più recente delle nostre ricerche e esperimenti.
La prossima esposizione si terrà a Torino nel 1998 e avrà per titolo
"Ars Lab. La suggestione dei codici".

Quali sono gli obiettivi che vi ponete nell'organizzazione di una esposizione di opere artistiche che utilizzano le nuove tecnologie?

Una finalità delle nostre esposizioni è quella di lanciare dei veri e propri "appelli d'idee" come amiamo definirli.
Essi consistono nella formulazione di bando su un tema che viene diffuso presso artisti e scienziati che rispondono con delle proposte.
Gli interventi e i progetti che riteniamo più interessanti vengono raccolti in un evento che è costituito generalmente da un'esposizione e da uno o più dibattiti.
Il primo di questi appelli si è realizzato sul tema "L'arte e la sfida della tecnologie" e il secondo "Ecosistemi Artificiali" da cui è stato tratto l'argomento dell'ultima esposizione di "Ars Lab" realizzata alla Promotrice delle Belle Arti di Torino nell'autunno del 1995.

 Nella mia ricerca intendo dimostrare che l'utilizzo delle nuove tecnologie per la comunicazione può comportare una profonda variazione del messaggio che si intende trasmettere.
Se l'obiettivo è trasmettere una determinata informazione, attraverso l'uso di nuovi strumenti, ancora in parte sconosciuti, questo messaggio subisce delle modificazioni.
In questo senso è probabilmente utile il confronto tra artisti ed esperti delle tecnologie, tra il soggetto che intende trasmettere un messaggio al suo pubblico e il soggetto che è in qualche modo incaricato di implementare il messaggio su un supporto tecnologico e che presumibilmente ne conosce meglio i risvolti e le implicazioni.

 La nostra posizione è molto più radicale. Noi non apprezziamo di fatto che gli artisti usino strumenti elettronici al posto del pennello.
La trasposizione di una tecnica espressiva da un vecchio medium a un nuovo e quindi tecniche delle arti visive nel campo della computer grafica, è un fenomeno presente e forse anche inevitabile, però noi siamo molto convinti che la creatività attraverso l'uso delle nuove tecnologie passi all'interno di un ragionamento tecnologico e scientifico.
L'ispirazione artistica non scaturisce dalla riflessione introspettiva o atttraverso delle riflessioni ma da un contatto diretto con gli strumenti forse ai margini della funzione tecnologica specifica degli strumenti stessi, che però permettono nuove dimensioni espressive.
Possiamo anche fermarci ad analizzare le strutture di questa nuova scrittura connessa con le tecnoscienze.
Il primo elemento è quello dell'interattività; l'artista tecnologico crea un'opera che non è conchiusa in sè ma che è covariante.
Un'opera che ha una sua struttura, una sua morfologia, ma che attraverso la duttilità del software mette a disposizione del fruitore, quindi del pubblico, affinchè sia il pubblico a espandere l'opera, a dare all'opera il suo tessuto espressivo.
Questa posizione è stata chiara fin dall'inizio, non esiste più a nostro parere, la concezione esclusiva dell'artista ma esiste un processo creativo continuato che conivolge l'artista in quanto programmatore dell'opera e il fruitore in quanto navigatore.
Questo tipo di logica oggi arriva agli estremi attraverso "l'arte in rete" o "network art".

 Quali sono le basi sulle quali si fonda la network art e in base a quali intuizioni si crede in questo nuovo tipo di espressione dell'arte?

In primo luogo è importante parlare del concetto di reticità, ad esempio per fare avvenire un certo evento creativo in certi posti contemporaneamente.
Un altro filone è quello che noi chiamiamo del metadesign. L'artista mette in rete un dispositivo che permette ad altri di implementare un evento creativo.
C'è un'artista australiana che si chiama Linda Demens che ha fatto un'opera che ha denominato "Cyberflash" dove i fruitori vengono invitati ad inviare immagini del loro corpo e attraverso un elaborato software tutte le immagini vengono mixate ricostruendo sempre un nuovo corpo umano che è il risultato dei contributi di tutti i fruitori dell'opera aggiornato continuamente e quindi in continua metamorfosi, in rete in tempo reale.
Metadesign quindi nel senso che l'artista ha costruito uno strumento che serve al fruitore, ai cocreatori, a costruire l'opera.

 Ci sono altri esempi ancora più estremi, nei quali anche le ultime regole di collaborazione tra coautori vengono a cadere.
E' il caso dell'artista francese, Olivier Auber , che ha creato un sistema in cui lui si pone ancora un passo indietro.
E' un sistema di autocreazione per i fruitori chiamato "Le generateur Poietique". In questo sistema l'ultima persona che interagisce con l'opera è quella che, non solo può dare il suo contributo attraverso la definizione di un frammento, una tessera dell'opera, ma fornisce le regole a tutto l'insieme.
Ogni partecipante è quindi per un momento, fino all'arrivo di un nuovo fruitore, il coordinatore di tutta l'opera collettiva. I partecipanti sono qui non solo costruttori ma anche riorganizzatori dell'immagine.

 Mi sembra importate sottolineare il ruolo del gioco e allo stesso tempo mi sembra che si debbano rivedere tutti gli schemi che la creazione artistica tradizionale aveva impostato.

Si, il gioco, mai come ora, riveste un ruolo importante e strategico nell'interazione tra autore e fruitore dell'opera, anche se ormai non ha quasi più senso continuare a utilizzare queste definizioni.

 A proposito del linguaggio, nella mia tesi tento di dimostrare che non è cosi scontato che la scrittura e il linguaggio testuale corrispondano al linguaggio primario per la diffusione dell'informazione. La mia ricerca in realtà è iniziata con lo studio delle potenzialità informative dell'immagine, e necessariamente è approdata ad un confronto con l'arte.

Questo è un concetto molto interessante.

 Credo che in questo momento storico gli artisti abbiano capito che poteva essere interessante utilizzare le nuove tecnologie per informare il pubblico, renderlo partecipe attivo delle loro ricerche creative. E' maturata una coscienza in base alla quale è possibile e auspicabile da parte dell'artista utilizzare dei canali tradizionalmente usati per il trasporto dell'informazione, come la rete, per far passare la loro esperienza artistica. Il problema che io vedo consiste nel fatto che l'artista deve utilizzare questi canali in modo nuovo, creare una vera e propria sintassi espressiva.

Qualunque opera d'arte tradizionale fino ad oggi è fare una informazione basata sulla memoria.
Tutto ciò che è coivolto in un'opera dalla "Pietà" di Michelangelo a un quadro astratto di Pollock, è tutto un insieme, un aggregato di memoria.
Mentre invece nell'opera tecnologica, essendo presenta la caratteristica dell'interattività, al concetto della memoria si sostituisce quello dell'intelligenza, cioè quello del trattamento.
Oggi tendiamo a non parlare più dell'informazione ma di comunicazione.
Abbiamo usato moltissimo la parola informazione perchè l'impatto con la nuova cultura tecnologica ci portava a vedere il mezzo comunicativo, il computer, come il mezzo che permetteva la circolazione di dati, di informazioni, ma oggi siamo in una fase seguente che è quella della comunicazione, finalmente si realizza il fatto che questa informazione circola fra le persone ed è reciprova.
Anche nell'opera interattiva o in un'installazione di realtà virtuale, esiste una certa reciprocità perchè l'ambiente è stato creato dall'artista però poi il fruitore che interagisce con essa cambiandone i connotati estetici. Nell'opera in rete il processo di trattamento delle strutture linguistiche dell'opera è totale.

 Questo processo, secondo lei, nasce da una necessità dell'artista oppure dalle esigenze del pubblico?
E' un operazione data dal fatto che l'artista ha bisogno di un riscontro reale dal pubblico o è un'esigenza che il pubblico ha e che viene colta ed utilizzata dall'artista?

A mio parere, è un'iniziativa che parte dall'artista. L'artista tradizionalmente ha avuto sempre un ruolo profetico in tutti i cambiamenti di cultura, ha capito per primo le possibilità comunicative delle nuove tecnologie, la bidirezionalità e ora la circolarità.
Tutta la nostra cultura si avvia a questa struttura comunicativa dialogica allargata e non solo, ma che si configura una forma di intelligenza collettiva che è sempre stata un'utopia.
Mentre nelle culture tribali l'inconscio collettivo assumeva il ruolo di intelligenza collettiva, oggi si parla di general intellect, che sta a definire una capacità della nostra cultura di sviluppare un pensiero collettivo grazie ad un alto livello di scambio e di erudizione generale.
Il pubblico per parte sua risponde benissimo, esiste veramente una sistuazione in cui si sta rovesciando la condizione che l'arte ha avuto per un secolo, quella di essere un'élite.
Dalla fine dell'800, soprattutto con la nascita della riproducibilità tecnica dell'immagine che ha tolto all'arte il monopolio della rappresentazione, l'arte ha cercato i suoi codici cifrati, infatti le avanguardie sono sempre state molto ermetiche, non colte dal grande pubblico.
Oggi si sta rovesciando questa condizione, la gente entra con maggiore o minore consapevolezza nelle operazioni artistiche, entra con uno stesso spirito comunicativo con cui entra nelle reti, cioè con l'esigneza di scambio culturale, di dialogo interpersonale

 In particolare si possono rintracciare delle radici storiche, attraverso tutta una serie di tentativi di sperimentazione di nuovi linguaggi.
L'ultimo, nel dopoguerra, il movimento spazialista italo-argentino, anche se il nucleo centrale era in Italia, a Milano, in particolare attorno a Lucio Fondana e il primo Bay.
Fontana affermava che con la TV si apriva un nuovo orizzonte, la comunicazione avrebbe assunto una dimensione universale.
In realtà questi discorsi sono sempre stati fatti nelle gallerie d'arte, non hanno mai cercato un rapporto con la televisione vera, nascente,non hanno mai avuto un rapporto con i media che erano agli inizi.

 Anche i situazionisti hanno parlano di una creatività diffusa nellla vita quotidiana centrata però sul comportamento più che sulla comunicazione.
Oggi invece succede che ad una mostra di arte tecnologica partecipano, oltre agli addetti ai lavori e al pubblico dell'arte, anche un largo pubblico che in prima istanza è attratto per motivi cognitivi o ludici e che poi si fa coinvolgere fortemente dalle opere, soprattutto da quelle opere in cui l'interattività è più forte, in cui il fruitore è coivolto più profondamente nell'azione espressiva.
Il pubblico diventa partecipe dell'opera, al di là di una prima attrazione che scaturisce dalla curiosità che lo ha spinto a parteciparvi.

 La fruizione di un'opera interattiva è quindi un vero e proprio evento comunicativo.

Si, infatti un gruppo della nostra rete interazionale in Germania ha installato una loro opera d'arte in una stazione di metropolitana e questo fa parte di uno di questi eventi che creano un avvicinamento tra il pubblico e la sperimentazione artistica.
Un problema da affrontare in questo senso sono i costi altissimi che occorre sostenere per l'uso di strumentazioni tecnologiche, anche se probabilmente anche questo è un problema che in futuro sarà sempre più facilmente risolvibile.

 Qual'è la sua opinione riguardo alle tecnologie off-line, pensa che esse potranno essere utilizzate per l'espressione artistica e per le sperimentazioni creative?

Il CD-ROM è, a mio parere, un' evoluzione di quel concetto di memoria di cui ho parlato prima.
Introduce una libertà di navigazione nella memoria che nessun supporto linguistico artistico ha mai offerto.
"Ars Technica" è interata a questa tecnologia, tra di noi ci sono degli artisti che lavorano con il CD-ROM, tentano di renderlo di più interattivo possibile ovviamente, e di introdurre anche nel CD-ROM la possibilità per il fruitore di cambiare le regole, di non dover seguire un labirinto fisso aumentando la potenzialità ipertestuale in modo che si esca da una logica spazio-temporale unitaria e si arrivi ad una dimesione di libertà che è una caratteristica di base.

 E'daccordo sul fatto che l'opera interattiva debba avere un proprio obiettivo espressamente dichiarato, in modo che esso costituisca un punto di riferimento per un pubblico "non addetto ai lavori"?

Non propriamente. C'è uno sforzo da parte degli artisti per creare delle interfacce sempre più immediate e dirette che richiedono meno conoscienze tecniche e che si legano al vissuto della persona. In un certo senso la creazione di queste interfacce costituisce la necessità di rendere il fruitore più cosciente dell'interazione con la macchina. "Ulisse" di Mario Canali, esposta ad Ars Lab era un'opera emblematica in questo senso.
Gli artisti tentano di avvicinarsi sempre di più al pubblico. Occorre inoltre tener presente ch nella fruizione dell'opera ci sono vari tipi di soddisfazione: quella di tipo cognitiva, che è un livello che non bisogna mai trascurare, ovvero la pulsione a conoscere delle cose nuove, quindi una sorta di curiosità.
Un'altra componente è quella ludica. In tutti i giochi c'è la finalità di vincere e questo è l'aspetto deteriore, peré che anche quella di farcela, la sfida.
La terza è quella maieutica: calandosi nell'opera e sentendola profondamente hai una liberazione rispetto a delle pulsioni profonde. Vivere una sorta di psicodramma liberatorio, che non a caso è una forma di psicoterapia.

 La vostra ricerca si pone come obiettivo la creazione di una teoria dei Nuovi Media o vuole essere un percorso di riflessione separato dai dibattiti culturali più generali che si stanno sviluppando in questo periodo?

Sono parecchi anni che riflettiamo su queste tematiche e che ci poniamo problemi teorici legati alla comprensione di nuovi modelli di comunicazione e pratici legati alla creazione di opere che possano esprimere le nostre ricerche.
Abbiamo già un certo tessuto di rflessione però globalmente non riteniamo di aver formulato ancora nè una teoria completa, nè una definizione di questo nuovo linguaggio.
Anche tu prima parlavi di questa necessità; ma questo linguaggio nuovo che caratteristiche ha , quali sono i suoi valori estetici?
Noi diamo delle risposte che sono ancora parziali, non possiamo dire di aver individuato un'unità di base del nuovo linguaggio, il fonema del linguaggio alfabetico Questo è il lavoro che stiamo cercando di fare, esponendo, discutendo, confrontandoci con il dibattito culturale generale sulla comunicazione.

 E'un discorso non solo interdisciplinare ma anche sociale nel senso che una nuova teoria, quindi un nuovo modo di rappresentare il mondo, nasce da tutta la società, attraverso una maturazione collettiva.
Questa teoria diventa la modalità legittima di rappresentazione del mondo è il frutto di una convenzione universalmente accettata.
Per adesso gli artisti tentano di fornire degli stimoli che alcuni scienziati hanno capito. Persino l'industria tecnologica lo ha capito e sta cominciando anche in Italia ad utilizzare gli artisti per le sperimentazioni.