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Capitolo due:
L'INFORMAZIONE SI EMANCIPA

 2.1) NUOVE TECNOLOGIE E RICERCA

2.1.1. La scelta di un confronto.

Vorrei ora fare un passo indietro e fermarmi ad osservare, attraverso una breve panoramica, le più importanti correnti artistico-letterarie che hanno segnato il mondo dell'arte fino al 1930.
In primo luogo perché credo nel ripresentarsi ciclico di alcune tematiche intellettuali legate all'uso o alla sperimentazione di nuovi strumenti per la comunicazione; tecnologie che, all'interno di una determinata congiuntura storica, si impongono nella vita moderna quasi come ineluttabilmente necessarie e insostituibili, ponendo il mondo dell'arte e della comunicazione difronte alla necessità urgente di decodificarne gli usi e le utilità, di intuirne l'importanza e la genialità, di spiegarne subito i riscontri e le implicazioni.
In secondo luogo sono particolarmente interessata alle sperimentazioni che riguardano un periodo ristretto della grande esperienza delle avanguardie: le avanguardie storiche precedenti al 1930.

Si tratta di un anno di rottura e di completa chiusura di una fase in cui intellettuali e artisti avevano praticato o ipotizzato per l'arte funzioni ampliate a tutta la realtà sociale ed erano sconfinati in quei linguaggi di massa che questa fase sembrava promettere .
Ma ciò che mi interessa più ricordare è che si tratta di un periodo storico nel quale spicca la ricerca teorica sul linguaggio delle nuove tecnologie, in particolare di cinema e fotografica.
Dal gioco edonistico dell'avanguardia artistica di quegli anni emerge una vera e propria sistematizzazione sia della ricerca critica che di quella operativa, vengono scoperti e utilizzati nuovi linguaggi per la composizione dell'immagine, si medita sui problemi legati alla percezione e alla visualizzazione dello spazio reale creando le basi su cui si reggerà tutta la ricerca artistica degli anni successivi.
Ciò era dovuto al fatto che era fortemente presente la necessità di indagare i nuovi mezzi di comunicazione, capire se il linguaggio della visione si sarebbe strutturato secondo le stesse funzioni comunicative che avevano caratterizzato i modelli storici dell'attività pittorica e grafica o se occorreva sperimentare un nuovo linguaggio con forme, funzioni, atti linguistici propri.

 Il mio confronto può avere un valore se si mette in relazione quel particolare periodo di ricerca e di sperimentazione con il periodo attuale nel quale nuovamente ci si trova a dover o voler utilizzare degli strumenti tecnologicamente avanzati dei quali non si conoscono esattamente le potenzialità e il riscontro sul pubblico.
In questo senso ho pensato potesse essere più corretto un confronto con le avanguardie storiche che non con le più recenti correnti, dall'Informale all'Espressionismo Astratto alla Pittura Materica, correnti astratte-informali che tra l'altro non hanno manifestato particolare interesse per i media.
Si tratta a mio parere di movimenti, quelli post-guerra, che hanno ormai preso coscienza delle potenzialità tecniche e espressive del mezzo di comunicazione; sono i figli delle prime sperimentazioni, pertanto non più cosi disposti a farsi stupire dagli effetti della macchina.
Proprio per questo non più lucidi e infantili rispetto alle possibilità di espressione semmai più concentrati nel veicolare messaggi più o meno politici, concentrati nell'uso del mezzo e non più nella scoperta.

 Si ha come la sensazione che, sperimentato i mezzi di comunicazione in tutte le sue potenzialità, le avanguardie successive alla seconda guerra mondiale, il movimento Neodada newyorkese e il gruppo Fluxus in Germania si concentrino più sull'elaborazione linguistica e siano più interessati ai codici e alla creazione di "eventi" , come se l'obiettivo, per usare termini generativisti, fosse concentrarsi più sull' ` esecuzione' dell'arte che non sulla ` competenza'.

 2.1.2. Per una "Nuova Visione": cenni sull'uso delle "nuove tecnologie" negli anni delle avanguardie storiche.

 2.1.2.1. La fotografia

 Ripercorrere le analisi e gli esperimenti fatti dalle avanguardie può essere significativo per valutare i recenti scenari e i processi di crescita e di legittimazione che i nuovi linguaggi propongono in rapida successione.
I nuovi media infatti investono oggi il mondo dell'immagine e della comunicazione in modi simili a quelli della fotografia nel secolo scorso:
soluzioni inedite, interferenze, mutamento nel ruolo dei linguaggi, nuove necessità espressive, in generale sorprendenti possibilità di nuove configurazioni che non trovano uno status critico certo, né una esatta collocazione estetica.
Per questo, osservando ad esempio la frattura provocata dalla fotografia nei linguaggi visivi all'inizio degli anni 20 possiamo capire il fermento che oggi la comparsa dei linguaggi elettronici e telematici ha provocato e sta provocando.
Ciò che colgo essere più caratterizzante nei due periodi che intendo mettere a confronto, quello attuale e quello delle avanguardie storiche, è l'estrema assenza di parametri di valutazione, di riscontri reali sul pubblico, che creano un ambiente di sperimentazione particolarmente stimolante e creativo.

 L'esplorazione del linguaggio fotografico, avviata fin dai primi anni `20, consentì di individuare nuovi schemi espressivi, con cui comunicare esattamente i significati degli elementi della realtà, ossia i suoi simboli.
Si individuarono così anche in nel linguaggio visivo le figure retoriche, che non facevano altro che dimostrare come la fotografia costituisse un modo di esprimersi autonomo e come il fotografo fosse un operatore estetico in grado di esprimere giudizi e una propria visione del mondo.
Le correnti dell'avanguardia più importanti che si sono occupate di questa ricerca sono il futurismo, il dadaismo, il gruppo Bauhaus, i surrealisti e gli astratti.
Non è questa la sede per una analisi accurata delle sperimentazioni di queste correnti artistiche ma l'obiettivo che mi propongo è quello di dare alcune indicazioni su come esse si sono servite del mezzo fotografico per sperimentare nuovi modi di comunicare.

 I dadaisti, ad esempio, erano interessati a sbarazzarsi della "obiettività" fotografica, con la creazione di immagini sconvolgenti e misteriose, di una inedita figuratività; immagini riprese con i raggi X, stampe negative, solarizzazioni, ingrandimenti macroscopici di dettagli, fotomontaggi e rayographs.
Al Bauhaus la fotografia viene utilizzata anche nella realizzazione di collages, dando vita a una nuova tecnica comunicativa, per mezzo del fotomontaggio, dove l'immagine determina nuovi contenuti a seconda dell'organizzazione e del collegamento allusivo.
Inoltre i lavori del gruppo si basano spesso sulla ricerca di un messaggio grottesco, una concessione allo scherzo, "ottenuto attraverso prospettive distorte o con evidenti e ricercati 'errori' della comune tecnica fotografica; una diffusa propensione a costruire le immagini, anche le istantanee più banali, sulle diagonali, secondo dinamiche prospettiche del tutto inusuali nella pratica fotografica corrente; la ricerca di effetti causati dai più comuni effetti ottici (ombre, riflessi, trasparenze); l'apparizione all'interno dell'immagine di `segni' che assumono un valore speciale come sfere di vetro, mani, frammenti di apparati tecnici e dell'architettura".

L'obiettivo è tentare di sfruttare l'ambiguità del messaggio fotografico mettendone in evidenza proprio le caratteristiche che lo rendono un mezzo espressivo molto potente e rendere visibile, per mezzo dell'apparecchio fotografico, fenomeni che sfuggono alla percezione o alla ricezione del nostro strumento ottico: l'occhio.
Nel lavoro dei cubisti ad esempio, il problema del rapporto tra realtà e rappresentazione si gioca anche sulla natura fisica dei materiali proposti e lo spazio diventa un elemento fondamentale.
Dall'attenzione verso l'uso di determinati materiali e iconografie nasce un nuovo processo di rappresentazione per citazione segnica che si affida alla estrema identificabilità dei materiali stessi.

In Italia, neanche ai fascisti sfugge il potenziale espressivo di queste nuove tecniche, che permettono di manipolare non solo i contenuti, ma la stessa informazione.
E se fino ad ora gli obiettivi erano l'ampliamento delle possibilità di comunicazione e la ricerca estetica, negli anni '20 queste ricerche sono spesso state strumentalizzate per comunicare messaggi politici e di propaganda.
Il problema si ripropone oggi con la stessa forza e pregnanza. Insieme all'entusiasmo nei confronti di mezzi di comunicazione nuovi che permettono la trasmissione e la fruizione dell'informazione a livelli globali è presente la preoccupazione per le possibilità manipolatorie che questi strumenti mettono a disposizione.

 2.1.2.2. Il cinema

"Cercare. Guardare avanti. Precedere, stimolare e tentare. Contrapporre al vecchio il nuovo, al passato il futuro. Scegliere le vie inconsuete, e magri sotterranee, ma non quelle ufficiali. Privilegiare la trasgressione al posto della legalità, affidarsi all'avvetura più che alla certezza, preferire il confuso all'ordinato, ma, per descrivere la confusione e non per descrivere confusamente." Walter Benjamin
Le avanguardie artistiche antecedenti alla prima guerra mondiale si sono servite anche del cinema come nuovo mezzo tecnologico per sperimentare nuovi linguaggi.
In questi anni nasceva l'idea del montaggio come creazione di un modello espressivo basato sull'unione di elementi diversi.
Nel Manifesto tecnico della letteratura futurista Marinetti coglie ancora il nesso fra il linguaggio estetico e linguaggi di massa chiarendo la natura innovativa del montaggio e i suoi postulati:

"In certi casi bisognerà unire le immagini a due a due. Per avviluppare e cogliere tutto ciò che vi è di più sfuggevole e di più inafferrabile nella materia, bisogna formare delle strette reti di immagini o analogie, che verranno lanciate nel mare misterioso dei fenomeni" (1910).

La capacità di rappresentazione illusionistica della realtà cinematografica propone agli artisti nuovi spazi speculativi, ma soprattutto nuove esperienze percettive e situazioni materialmente inedite, non ancora razionalizzate.
Occorre ricordare inoltre che in questo stesso periodo il medium cinema veniva sfruttato largamente da una fascia di intellettuali, poeti e pittori che mai prima d'ora aveva "osato" far uso di nuove tecnologie.
In uno scritto illuminante, databile probabilmente alla fine degli Anni Venti, il pittore post-cubista Fernand Léger scriveva a proposito del suo film Le ballet mécanique (1924):

 "La storia del film d'avanguardia è molto semplice. E' una reazione diretta contro i film basati su uno scenario e sul divo. E' la fantasia e il gioco contro l'ordine commerciale degli altri. E' la rivincita dei pittori e dei poeti. In un'arte come questa in cui l'immagine deve essere tutto e dove essa è sacrificata a un aneddoto romanzesco, bisognava difendersi e provare che le arti dell'immaginazione, relegate alla funzione di accessorio, potevano, da sole, con i loro propri mezzi, creare dei film senza scenario considerando l'immagine mobile come personaggio principale" (i corsivi sono di Léger).

L'avanguardia cinematografica, come le altre avanguardie artistiche e letterarie, portò alle estreme conseguenze l'analisi del linguaggio, sconvolgendo le strutture codificate, rintracciando linee di sviluppo e possibilità di applicazioni estranee alla normale prassi linguistica ed espressiva, indicando nuovi elementi formali, che saranno ripresi e approfonditi in successivi periodi di ricerca estetica.
Questo lavoro di analisi, portò a quell'individuazione di alcuni caratteri peculiari del linguaggio cinematografico che ben si prestavano alla creazione di nuove forme espressive, e che costituiranno per parecchi anni gli elementi di base di un'estetica del cinema.
Il cinema, in altre parole, per la sua novità, per la mancanza di una tradizione, per la molteplicità dei suoi usi e per l'aspetto meccanico e impersonale della sua tecnica, era uno strumento affascinante e stimolante per degli artisti che, una volta rifiutati i canoni espressivi abituali e i linguaggi artistici tradizionali, erano alla ricerca di nuovi rapporti con la realtà fenomenica da costruirsi su nuove basi estetiche e morali.

2.1.2.3. Il cinema russo e l'uso del montaggio

Il cinema in Russia doveva innanzitutto istruire e documentare, costituire un mezzo primario di educazione del popolo, tanto che fin dal 1918, a pochi mesi dalla conquista del potere, i sovietici diedero vita, nell'ambito del Commissariato del Popolo per l'istruzione, a una sottosezione cinematografica con lo scopo di autorizzare la produzione di film documentari e d'attualità.
A poco a poco si comprese l'importanza del montaggio come "selezione" della realtà rappresentata, al quale largo impulso venne dato da "ll montaggio delle illusioni" un articolo apparso su "Lef" la rivista di Majakovky, che costituisce il primo abbozzo della teoria estetica del più famoso studioso e regista russo Sergej Ejzenstejn.
Si impiegò inoltre l'immagine cinematografica come elemento d'un discorso sulla realtà che non si limitava a "duplicarla", ma ne forniva alcune chiavi di lettura.
Nel 1937 Sergej Ejzenstejn iniziava a stendere le prime note di una "Teoria generale del montaggio".
E' un anno tra i più tormentati per il regista che vede bloccato per "errori ideologici" la produzione del suo ultimo film. L'accusa è di "formalismo" irrispettoso cedimento di fronte agli obblighi del realismo.
Ejzenstejn interviene in difesa del cinema di montaggio - o "montaggio audiovisivo"- costruendo un discorso generale, una riflessione, rimasta inedita per molto tempo.
Tema centrale è il montaggio come modo per conoscere la realtà. Non è sufficiente, afferma il regista, rappresentare il contorno, ricopiare i contorni visibili, ma è necessario coglierne il disegno interno per parti, ricomponendole poi secondo uno schema che ne restituisca la struttura interna.
E' un intervento formale di continua scomposizione e ricomposizione, e l'immagine finale reca in sé anche l'andamento di questo percorso, denuncia questo tragitto, questo atto costitutivo che gli sta alle spalle.
Il montaggio, terreno praticato dalle avanguardie storiche sotto il segno della provocazione, del provvisorio, della casualità, si propone qui come la tecnica irrinunciabile per passare dalla rappresentazione all'immagine, perché l'immagine è sempre frutto di un montaggio.
Non si trattava di una vera e propria continuazione dell'avanguardia ma di una naturale evoluzione che avrebbe definitivamente consacrato il cinema come mezzo di comunicazione a tutti gli effetti.
In particolare con "L'uomo con la macchina da presa" di Dziga Vertov, la pratica cinematografica e la teoria estetica paiono fondersi in un'unica opera che ha tutti i caratteri, inconsueti, addirittura unici, di trattato teorico e tecnico sul cinema, scritto con le immagini.
Esso è un vero e proprio saggio di meta-cinema, di un cinema che si interroga sul proprio linguaggio sperimentando sulle proprie sequenze uno schema che individua nella forma il vero contenuto dell'opera cinematografica.
Per terminare è importante ricordare le basi sulle quali si fonda il concetto di montaggio.
Sergej Ejzenstejn nella sua teoria afferma che è il montaggio a stabilire i rapporti di tempo e di spazio, a creare quella nuova dimensione scenica che consente l'esplicarsi della drammaturgia, basata soprattutto sulla dinamica dell'immagine e sul ritmo del racconto.
Anche l'attore, come qualsiasi altro oggetto, diventa nelle mani del regista-creatore un elemento della composizione filmica, che nasce dal montaggio come operazione coordinatrice dei vari aspetti della struttura drammatica. In ultima analisi è il montaggio, inteso come processo creativo, a determinare, ben più della sceneggiatura, il significato dell'opera e il suo valore estetico.
Ciò che mi preme ricordare ancora è il fatto che proprio le tecniche del montaggio, l'esaltazione di primi piani oggettuali, le sequenze parallele e le dissolvenze incrociate, le divisioni dello schermo e le analogie visive costituiscono, a mio parere, la sperimentazione del mezzo di comunicazione che ha permesso al cinema di guadagnarsi uno status nella società.
Solo attraverso una serie esperimenti, di ricerche e di utilizzi reali della macchina si è potuto giungere alla conoscenza delle potenzialità espressive del mezzo e si è quindi potuto produrre un cinema di qualità, che comunicasse il suo messaggio autonomamente, utilizzando i propri strumenti, parlando con la propria lingua.

 In questo contesto si situano gli autorevoli studi di Walter Benjamin, critico, filosofo, e teorico della letteratura che ha compiuto studi e riflessioni critiche sul destino della creazione artistica che, a suo parere, perde la propria autenticità in un'epoca e in una società in cui il progresso della tecnica riduce tale "creazione" al rango di oggetto di riproduzione illimitata, di merce.
Benjamin ha altresì auspicato che gli intellettuali prendano coscienza dell'identità del proprio lavoro e della loro condizione di produttori.
Per Benjamin da un lato la fotografia è considerata come una tecnica di produzione d'immagini tramite determinati procedimenti; in tale prospettiva si rivela importante analizzare la forma e il carattere particolare delle immagini così prodotte, immagini differenti da quelle dipinte o disegnate a mano dall'uomo, e dall'altro lato si rivela d'importanza non affatto secondaria studiare gli effetti della fotografia sulla vita sociale e la creazione artistica e le sue influenze sulla percezione. Secondo Benjamin:

 "la natura che parla alla macchina fotografica è [...] una natura diversa da quella che parla all'occhio; diversa specialmente per il fatto che al posto di uno spazio elaborato consapevolmente dall'uomo, c'è uno spazio elaborato inconsciamente".

Così la magia dell'inconscio ottico, comunicata dalla tecnica fotografica, è una conoscenza inaccessibile all'occhio umano, ma rivelata dalla macchina fotografica.
Per questo, secondo Benjamin, la funzione della fotografia non è in primo luogo artistica.
Benjamin, oltre a mettere in luce come sia caratteristico delle avanguardie artistiche avere un presentimento delle potenzialità dei mezzi di comunicazione che verranno adoperati in futuro, testimoniano bene, in generale l'importanza che si deve assegnare alla dimensione tecnica nello sviluppo delle arti e come soltanto il rinnovarsi e trasformarsi di questa possa portare a pieno compimento le intenzionalità artistiche più avanzate.
Ciò che è auspicabile è che esista lo stesso interesse, lo stesso convulso entusiasmo per i mezzi di comunicazione che oggi stanno entrando a far parte della società di fine secolo senza essersi però ancora conquistati in ruolo sociale e soprattutto che esista la stessa caparbietà nello sperimentare nuovi linguaggi e nuove possibilità senza accontentarsi di impiegare nuove tecnologie per esprimere vecchi concetti, per veicolare vecchie informazioni.
Ciò che più preme è individuare il linguaggio di queste nuove tecnologie, un linguaggio che parla all'umanità intera, senza più distinzioni di razza o di livello sociale.
Un linguaggio che si rivolge a un pubblico attento e conscio delle innovazioni che sono in atto in questo periodo storico ma ancora poco disponibile a mettere in discussione i meccanismi di fruizione dell'informazione.

 Un'intuizione ormai assodata e fondante nel nostro pensiero, che ha qualcosa di strettamente collegato al nostro modo di concepire un'opera multimediale è data dal fatto che il montaggio e la sua costruzione segue in un certo senso la logica dell'ipertesto, una logica in cui vengono abbandonati vecchi parametri di giudizio e di distinzione e ne vengono assunti di nuovi.
Si tratta di una rivoluzione a mio parere simile a quella introdotta dall'uso della tecnica chiamata "flusso di coscienza", lo stile letterario introdotto da James Joyce nel celebre "Ulisse", figlio delle teorie freudiane e della nascita della psicanalisi.
Credo sia utile ricordare come le congiunture storiche sono uno dei fattori fondamentali nella nascita di nuove teorie della comunicazione e per questo è importante osservare le intuizioni del passato contestualizzandole nel loro periodo storico, ancorandole agli ambienti nelle quali sono state maturate.

 2.1.3. Le ragioni della fotografia.

 Se la fotografia è, per la società contemporanea, uno strumento di prim'ordine, lo è soprattutto per la sua capacità documentaria di riprodurre esattamente la realtà esteriore, capacità che la fa apparire, almeno in prima istanza, come il procedimento di riproduzione più fedele e più imparziale della vita sociale, anche se questa "esattezza" ( o fedeltà o imparzialità) riproduttiva non può prescindere dai punti di vista e dalle ideologie dei soggetti che riprendono le immagini in un gioco, per cosi dire, infinito di rimandi fra tecnica e ideologia.
Pertanto, se anche la macchina fotografica coglie effettivamente la realtà e non si limita a interpretarla, le fotografie si presentano sempre all'osservatore come un'interpretazione del mondo allo stesso modo dell'arte pittorica.
In tale prospettiva, emblematiche si rivelano le parole del professor Alfred Murella, il quale all'inaugurazione dell'esposizione Bifoto del 1959 dichiarò

 "l'affermazione che la fotografia è la riproduzione naturale della realtà è basata su un profondo malinteso".

Nel riportare queste parole di Murella, J.A. Keim rileva che "anzitutto la natura è captata da un apparecchio"; questo fatto, contrariamente a un'opinione comunemente ammessa, non è una ragione di oggettività e soprattutto di fedeltà.
Ogni macchina possiede le sue caratteristiche che incidono sulle fotografie, cosi come vi incide in parte l'emulsione, il modo di sviluppo e di stampa, il supporto scelto per la ripresa modificano anch'essi il risultato.
"Non esiste una riproduzione della realtà che tutti i fotografi vorrebbero ottenere. Da un lato esiste il mondo, inimitabile nella sua complessità, e dall'altra coloro che desiderano farne una riproduzione".

 2.1.4. La fruizione dei prodotti artistici e culturali

 Walter Benjamin sul problema della ricezione dei prodotti artistici e culturali e del rapporto che si stabilisce fra ricezione nel raccoglimento e ricezione nella distrazione, mette a fuoco innanzitutto il problema delle massa e osserva:

 "la massa è una matrice dalla quale esce rinato ogni comportamento abituale nei confronti delle opere d'arte.
La quantità si è ribaltata in qualità: le masse sempre più vaste di partecipanti hanno determinato un modo diverso di partecipazione".

Per Benjamin l'osservatore non deve lasciarsi ingannare dalla fatto che questa partecipazione si manifesta dapprima in forme screditate. In questo senso la vecchia accusa secondo cui le masse cercano soltanto la distrazione, mentre l'arte esige dall'osservatore raccoglimento, è un luogo comune.
La ricezione nella distrazione è invece per Benjamin un fatto strutturale che costituisce il sintomo di profonde modificazione percettive proprie dell'arte riproducibile e in primo luogo del cinema.

 Per quanto riguarda da produzione invece, Benjamin considera il dissolvimento dell'arte autonoma come esito di una rivoluzione nelle tecniche di riproduzione.
Confrontando la funzione della pittura e quella della fotografia, Benjamin mostra esemplarmente le convergenze delle nuove tecniche che emergono in modo progressivo nel XIX secolo, tecniche che, rispetto ai procedimenti tradizionali di moltiplicazione di esemplari mediante fusione, conio, xilografia, litografia, rappresentano uno stadio nuovo, paragonabile, in un certo senso, all'invenzione della stampa.

 "Verso il 1900, la riproduzione tecnica aveva raggiunto un livello che le permetteva, non soltanto di prendere come oggetto tutto l'insieme delle opere d'arte tramandate e di modificarne profondamente gli effetti ma anche di conquistarsi un posto autonomo tra i vari procedimenti artistici".

2.1.5. La fotografia come arte

 Si usa spesso, in fotografia, il termine racconto : esso, con riferimento alla comunicazione verbale, indica che la fotografia è un linguaggio e come tale non soltanto comunica, ma comunica in modo articolato.
Uso questo termine accontentandomi, con esso, di dire che la fotografia parla. Quando si tratta, poi, di reportage sociali il termine racconto diviene logico: anzi, in sostituzione si usa un altro, ancora più esplicito termine: storia.
Si tratta allora di un sevizio, a comporre il quale le fotografie sono classicamente poste in sequenza narrativa, e talvolta una qualche logica narrativa viene ricreata sulla pagina del giornale, nel momento della pubblicazione.
Quando però una fotografia diviene immagine di copertina, o manifesto stradale, per esempio, ecco che essa chiusa nel rettangolo che ne delimita l'esistenza, dovrà, in totale solitudine raccontare.
Né d'altro canto va dimenticato che anche all'interno della sequenza di un servizio noi ci aspettiamo che ogni singola immagine sappia raccontare: un circoscritto racconto all'interno di un racconto più grande (così come non soltanto l'intero film racconta, ma anche la singola scena).
Che una fotografia per raccontare, quindi per significare, possa essere sola oppure in compagnia di altre fotografia è un nodo che diviene precocemente evidente in seno alla storia della fotografia e si connette, forse, proprio al "realismo" di questo tipo di immagine, alla sua "veridicità", alla sua fedeltà al reale.
In ogni caso la separazione tra la "purezza" dell'immagine singola e la problematica, "trasgressiva" scelta di porre in sequenza o comporre più fotografie in un compatto insieme nasce più tardi, insieme alla discussione se la fotografia sia arte o meno:
appartiene al nostro secolo e cresce con l'esigenza di definire l'indentità culturale ed espressiva della fotografia, di stabilirne i confini operativi e gli ambiti di legittimità, una volta superati gli ostacoli tecnici e raggiunta la piena praticabilità del mezzo.
Vi sono fotografi che tendono a produrre immagini che si configurano fondamentalmente come frammenti: fotografie reticenti, per così dire, molto mutilate nell'inquadratura, mirate a lasciare all'osservatore la ricostruzione di un senso, in base a un accenno di discorso.
Vi sono immagini, invece, attentamente composte in innumerevoli particolare la cui somma, meglio il cui intrecciarsi, conduce a un inevitabile significato; in questo caso la scena si fa complessa, ricca, il racconto circola all'interno dell'immagine, la fotografia chiede di essere guardata a lungo, i contorni dell'immagine indicano quasi il termine fisico della realtà presa in considerazione, delimitano un mondo dotato di una sua completezza.
Vi è l'ambizione, in certi comportamenti espressivi, di raccontare in modo complesso i valori non soltanto spaziali e temporali di una situazione, ma anche le compresenze percettive, culturali, la varietà e le molte vite di ciò che vediamo.
La fotografia accede allora a composizione complesse, per così dire più arbitrarie, più decisamente immaginarie, allusive. Il gesto del fotografo si estende, e dalla sola immagine il racconto passa a coprire una composizione, e un progetto, più ampi.

 2.1.6. ..e i suoi effetti sul pubblico!

Le campagne pubblicitarie Benetton, nate dalla proficua collaborazione con il fotografo e creativo Oliviero Toscani che ne ha pensato e realizzato una gran parte, hanno raccolto in molti paesi del mondo premi e consensi e nello stesso tempo hanno suscitato reazioni a volte feroci, a volte semplicemente curiose.
Basta ricordare, a tale proposito, gli importanti servizi delle principali reti televisive statunitensi ed europee e le migliaia di articoli apparsi su quotidiani e riviste di tutto il mondo che hanno moltiplicato l'effetto pubblicitario delle campagne stesse.
Un risultato che solo Benetton è stato in grado di ottenere e che può essere un utile indicatore degli effetti che una determinata immagine, fotografia o campagna pubblicitaria basata su di esse suscita nei confronti di un pubblico.

 Per cercare di analizzare meglio il messaggio che COLORS Magazine trasmette, anche attraverso l'uso che fa delle immagini ho fatto una ricerca su come sono state percepite le pubblicità che Benetton ha diffuso in tutto il mondo, la quasi totalità delle quali riportano una fotografia di Oliviero Toscani.

Sul settimanale di attualità "The Economist" del 4 marzo 1995 (con una tiratura di 273.914 copie) appare un articolo in cui si dice che la "l'azienda Benetton sta cercando disperatamente pubblicità attraverso una mostra dedicata alle proprie immagini pubblicitarie presso il Museo d'Arte Contemporanea di Losanna.
Sebbene le foto vengano concepite per provocare, alcune rivelano anche un certo talento.
Tra queste, quelle che mostrano un bambino bianco allattato da una donna di colore, il bacio tra un prete e una suore, la divisa insanguinata di un giovane soldato bosniaco."

 "The Observer", settimanale inglese, esprime un giudizio critico sul medesimo evento affermando che "come la mostra `Street Style' al Victoria and Albert Museum, o le canzoni dei Beatles nelle tesi di dottorato, o Woodstock `94, nel momento in cui la pubblicità viene confinata e scrutinata, essa perde il suo senso.
E' come se all'improvviso, sotto l'impudenza, l'arguzia e il riferimento a eventi contemporanei (vedi la Bosnia), ci fosse da sempre il tentativo di farsi arte.
Trasferendosi dalla strada ai salotti (come la Benetton ha già cominciato a fare prima di questa mostra con la rivista COLORS), l'immagine shock, che è quasi diventata un marchio commerciale in sé, non rappresenta più il "ribelle" bensì il "secchione" della classe.
Tutto si sta trasformando in una promozione di sé gratuita e manipolata, invece che spontanea.(...) Nessuna di queste immagini merita troppa attenzione, perché una volta superata la prima sorpresa non c'è molto altro da osservare. Non sono poi immagini così intelligenti.
Non sono mai state concepite per rifletterci su, ma per essere guardate con stupore.
E non serve avere un maglione colorato originale "made in Italy" per sapere che le gallerie d'arte non sono luoghi in cui fissare un'immagine con aria inebetita."

 "El Paìs" del 3 marzo 1995, nel supplemento settimanale di proposte per il fine settimana cita l'esposizione fotografica "Benetton para Toscani" che si terrà a Losanna.
Oltre ai grandi manifesti ormai noti a tutti, i visitatori potranno vedere le immagini tratte dalla rivista COLORS e le foto di "Fabrica", la scuola di arti visive (....)

 Inoltre nel programma televisivo "The money programme" in onda su BBC 2 in Gran Bretagna, viene dedicato un ampio spazio alla Benetton e ai problemi avuti di recente (data del programma 26/2/95) con alcuni negozianti tedeschi.
La presentatrice si è recata personalmente in Germania per intervistare due licenziatari del marchio.
Uno di loro ha accusato l'azienda di essere la causa del suo tracollo finanziario per via delle campagne pubblicitarie ritenute scioccanti. Nel frattempo, in studio venivano proiettate alcune immagini di campagne passate che hanno reso celebre il polo tessile italiano.
L'altra intervistata, una nuova licenziataria Benetton ripresa nel suo negozio pieno di gente, si è detta invece estremamente soddisfatta delle vendite.
Data la vicinanza dei due negozi, sono infatti posizionati sulla stessa strada, i clienti devono presumibilmente essere gli stessi; sembra quindi ingiusto che la responsabilità dell'insuccesso commerciale del primo negoziante venga imputata al Gruppo Benetton.
In chiusura di programma, tuttavia, è stato mandato in onda l'intervento di alcuni negozianti inglesi, che si sono dichiarati scontenti delle pubblicità del Gruppo e hanno lamentato un certo disinteresse da parte degli agenti, una volta venduta la collezione.
Il programma in questione è molto seguito e in questa edizione ha avuto un indice di ascolto di 1 milione e 800mila telespettatori.

Nello stesso periodo "Le journal de Genève" e altri quotidiani tra cui "Le Matin", "Le Figaro", esprimono il parere dei negozianti svizzeri che sono convinti che le campagne pubblicitarie Benetton non siano certo la causa del calo delle vendite, che va invece attribuito alla crisi del settore tessile. Alcuni di loro hanno incrementato le vendite in seguito alla politica di riduzione dei prezzi avviata dall'azienda negli ultimi anni, per consolidare la propria competitività.
E' comunque opinione diffusa presso i negozianti di questa area europea che le motivazioni addotte dai colleghi tedeschi siano solo una scusa per coprire altri problemi.

 Il 24 febbraio "USA Today" quotidiano con tiratura media di 1.390.000 copie esce con un articolo sulle campagne pubblicitarie come strumento di sensibilizzazione e analizza i titoli urlati che parlano di personaggi celebri, come il tuffatore olimpico Greg Louganis, malati di AIDS potrebbero essere il modo migliore per attirare l'attenzione dal pubblico sulla malattia. Ma numerosi esperti di marketing pensano che ci sia un'altra via: la pubblicità.
Tra le aziende che hanno deciso di affrontare il tema dell'AIDS nelle loro campagne pubblicitarie ci sono Nike, Kenneth Cole, Advera e Benetton. Le campagne hanno naturalmente obiettivi diversi, ma secondo gli esperti congiuntamente contribuiscono in maniera significativa ad aumentare la presa di coscienza della malattia da parte dei consumatori.
La Benetton, in particolare, è stata condannata da un tribunale parigino per la campagna che ritraeva parti del corpo umano con la scritta "HIV Positive".

 "C'è ancora molto spazio per noi, e per altri come noi, per discutere di questo problema"

ha dichiarato Peter Fressola, portavoce dell'azienda in Nordamerica.
Il Gruppo italiano, che gode di pubblicità ogniqualvolta lancia una nuova campagna, non starebbe abbracciando la causa dell'AIDS per farsi pubblicità gratuita:

"Ogni azienda che sceglie di parlare di AIDS nelle sue campagne credendo di poter così influenzare quantitativamente i suoi profitti, si sbaglia"

ha aggiunto Fressola.
Per quanto riguarda altre reazioni alla campagna "HIV Positive" in Francia nei primi giorni di febbraio le radio locali (Europe 1, RMC, BFM, France Inter, France Info) hanno seguito la condanna della Benetton da parte della giustizia francese, nella causa intentata da alcuni sieropositivi contro la campagna pubblicitaria.
Viene resa inoltre nota la sentenza sfavorevole alla Benetton e la decisione della stessa azienda di ricorrere in appello. I notiziari "Journal" e "Europe Nuit" replicati in diversi orari, danno infine la notizia della condanna della Benetton a risarcire i tre sieropositivi che l'hanno portata in tribunale con una somma specificata dal "The International Herald Tribune" di 32 dollari (50.000 franchi) e a versare simbolicamente un franco francese all'associazione AIDES.
Viene trasmesso inoltre un commento giuridico e un'intervista a uno dei querelanti e al portavoce dell'associazione AIDES. In una dichiarazione rilasciata dalla sede parigina e riportata dall' "Herald" il gruppo ha dichiarato:

"La Benetton è allibita dinanzi al giudizio espresso dal tribunale francese, che non ha mai voluto prendere in considerazione i numerosi messaggi si sostegno e di entusiasmo che l'azienda ha ricevuto sia dalle associazione sia dalle vittime del morbo e che costituiscono una prova dell'utilità della sua azione".

La Benetton ha inoltre sostenuto di aver contribuito alla lotta all'AIDS con donazioni e altre iniziative in tutto il mondo.
Se mi dilungo a citare e ad analizzare le reazioni delle varie nazioni del mondo è per meglio chiarificare quanto uno stesso evento o atto comunicativo possa essere interpretato in modo diverso a seconda dei punti di vista di analisi, a seconda della cultura che interviene nel giudizio.
Cos'è un atto di comunicazione se non un atto culturale, che chiama in causa i cardini stessi delle varie culture, che va a sollevare problemi di ordine morale e religioso?
Credo in un tipo di comunicazione pubblicitaria che vuole toccare questi punti nevralgici anche a costo di far parlare di se in modo cosi estremo.
La strategia di comunicazione Benetton prende il via nella primavera del 1984 con la campagna All the colors of the World, che vede protagonisti gruppi di giovani di etnie diverse ripresi mentre saltano e ridono insieme.
Questa campagna esce contemporaneamente in quattordici paesi e offre al Sul Africa il pretesto per ravvivare le polemiche razziste: le immagini coi ragazzi bianchi e neri vengono accettate dalle riviste lette dai neri ma rifiutate dal quelle riservate ai bianchi.
L'anno successivo la campagna accentua il proprio carattere internazionale presentando le bandiere di vari Paesi riunite in una stessa immagine; un simbolico appello all'incontro e alla discussione: Germania e Israele, Grecia e Turchia, Argentina e Gran Bretagna, Usa e URSS.
L'immagine viene contesta negli USA per la proibizione, allora vigente di mostrare a scopi pubblicitaria la bandiera nazionale.
In Europa ha un grande successo e conquista in Francia il "Grand Prix de la Publicité Presse Magazine" e il "Grand Prix de la Communication Publicitaire".
Di questa stessa campagna fa parte anche la foto di due bambini neri, uno agghindato a stelle e strisce, l'altro con la rossa bandiera dell'URSS, nell'atto di baciarsi. In occasione dell'incontro tra Mitterand e Gorbaciov, Benetton tappezza con questa immagine, il percorso del corteo presidenziale lungo gli Champs Elysées.
L'iniziativa riscuote successo e Gorbaciov chiede ai suoi collaboratori "Ma chi è questo Benetton?"

 Nel 1986 l'immagine simbolo diviene il mappamondo.
Modelli dai caratteri etnici molto pronunciati indossano i prodotti Benetton in modo che sembrano costumi nazionali. In una di queste immagini, un giovani israeliano abbraccia un coetaneo arabo.
Dal mappamondo che entrambi tengono in mano sbucano alcune banconote.
Le proteste della comunità ebraica di Parigi, preoccupata per le possibili ripercussioni negative che poteva suscitare il legame tra ebrei e denaro inducono a coprire le banconote. Giovanna D'Arco e Marilyn Monroe, Leonardo Da Vinci e Giulio Cesare Adamo ed Eva sono i protagonisti della campagna 1988.
Il seno nudo di Eva che fa capolino da una giacca jeans scatena dissensi tra i puritani statunitensi.
La stessa immagine viene però premiata in Olanda.
Il tono della polemica cresce l'anno successivo per la campagna sull'uguaglianza bianchi e neri: una donna nera che allatta un bimbo bianco e due uomini, uno bianco e l'altro di colore, ammanettati insieme.
E' soprattutto la comunità nera degli Stati Uniti a protestare perché, a suo avviso, si ripropone l'immagine consueta e negative della nurse di colore destinata a un ruolo di subalterno.
Si tratta comunque dell'immagine più premiata nella storia della pubblicità Benetton. Con lo slogan United Colors of Benetton ormai adottato come marchio, viene presentata la campagna 1990.
Le immagini sono sempre più simboliche, il prodotto è assente: due mani, una bianca e una nera, si passano il testimone, un bimbo nero dorme su un tappeto di orsetti bianchi, una fila di provette piene del sangue dei capi di Stato più influenti, un bimbo bianco e uno nero seduti su un vaso da notte.
Quest'ultima immagine viene boicottata dal Comune di Milano che ne vieta l'esposizione poiché offende la sensibilità dei fedeli che escono dalla messa.

Le due campagne primavera-estate e autunno-inverno 1991 toccano i vertici della polemica in tutto il mondo .
I temi trattati sono di carattere sociale, lo scopo è di catturare l'attenzione della gente, uscire dall'indifferenza. La prima immagine a venire contestata è quella del cimitero di guerra. In Italia viene pubblicata alcuni giorni prima dello scoppio della guerra del Golfo, soltanto dal "Corriere della Sera" e dal "Sole 24 Ore".
Viene rifiutata in Francia, Gran Bretagna e Germania.
Il soggetto "preservativi" genera perplessità sia in Italia sia negli Stati Uniti. Nei negozi Benetton si distribuiscono, a tutti i ragazzi del mondo, confezione di anticoncezionali, per indurre una maggiore responsabilità nei giovani.

 La campagna autunno-inverno mostra la foto di un prete e una suora che si baciano.
E' scandalo, soprattutto in Italia dove l'immagine viene proibita. In Inghilterra la stessa foto conquista il premio Eurobest Award.
Ma è soprattutto la seconda immagine, quella di Giusy appena nata, con il cordone ombelicale da recidere, che scatena polemiche in tutti i paesi.
In Italia, il comune di Palermo ne impedisce l'affissione così come quello di Milano. Anche la Gran Bretagna e l'Irlanda rifiutano l'affissione.
Gli spazi pubblicitari già acquistati, vengono donati alla Lega per la lotta ai tumori.
La vita fa scandalo specialmente nelle affissioni più che sulla stampa. Quasi fossero le dimensioni dell'immagine a ingigantire la realtà. Una verità troppo grande che infastidisce chi la guarda.
L'immagine che ritrae Giusy ha comunque un destino singolare.
Viene infatti premiata dalla "Societé Genérale d'Affichage" della Svizzera, e viene richiesta dal Policlinico Sant'Orsola di Bologna per esporla nella Sala Travaglio.
In Olanda viene esposta al museo "Baymans van Beuningen" di Rotterdam in occasione della mostra dedicata alla maturità.

L'anno successivo segna una nuova tappa nella comunicazione Benetton.Le sette immagini proposte sono reali, scattate da reporter professionisti, già pubblicate su quotidiani e riviste.
I soggetti riguardano temi di carattere sociale: la malattia, la violenza, l'intimidazione, l'emigrazione e i cataclismi naturali.
La foto del malato di Aids morente, circondato dai familiari provoca sdegno e innesca un profondo processo di discussione in tutto il mondo. Le accuse di cinismo mosse a Benetton provengono soprattutto dai paesi europei e dagli Stati Uniti.
Contemporaneamente musei americani, francesi, italiani, svizzeri e tedeschi richiedono le immagini delle campagne Benetton per esporle.

 Nel 1993 United Colors of Benetton, passa all'azione.
Con la collaborazione della Caritas Svizzera e delle Federazione Internazionale della Croce Rossa e del Crescente Rosso di Ginevra promuove la campagna Clothing Redistribution Project la prima operazione mondiale di ridistribuzione di vestiti alle popolazione bisognose.
Il testimonial è lo stesso Luciano Benetton, nudo, coperto dalla scritta Ridatemi i miei vestiti e successivamente Vuotate gli armadi.
Il successo della campagna è suggellato dai 460 mila chilogrammi di abiti usati raccolti.

Nello stesso anno, durante la Sesta giornata mondiale dell'AIDS, Oliviero Toscani inventa per la Benetton, un enorme preservativo rosa altro 22 metro e largo 3 metri e mezzo, infilato sull'obelisco di Place de la Concorde a Parigi. Un monumento simbolico alla prevenzione dei rischi di contagio dell'Aids accolto con simpatia in tutto il mondo.

Nel febbraio 1994 parte la campagna Benetton in favore della pace.
I pantaloni e la T-shirt insanguinati del soldato Marinko Gagro, ucciso nel conflitto della ex-Jugoslavia, diventano un simbolo pacifista nella foto di Oliviero Toscani che riporta come headline la dichiarazione del padre del militare: Io, Gojko Gagro, padre del defunto Marinko, desidero che si utilizzi ciò che resta di mio figlio per la pace e contro la guerra.
La frase è riportata in lingua serbo-croata, senza traduzione, sulla stampa di tutto il mondo.
Numerose le associazioni pacifiste che testimoniano alla Benetton la loro solidarietà. La campagna suscita anche l'interesse dell'Art Director's Club di New York che assegna alla Benetton il Premio per l'impegno sociale nelle campagne pubblicitarie. Inoltre viene premiata a Tokyo come miglior foto dell'anno.

 In occasione delle prime elezioni libere in Sud Africa, Benetton lancia nel 1994, il suo nuovo evento di comunicazione.
La foto di Oliviero Toscani raffigurante una mano bianca e una neri che si passano il testimone diventa l'emblema del passaggio a una società multietnica. La cultura della tolleranza è celebrata a Johannesburg durante due giornate di spettacoli, musica, incontri promossi e prodotti da United Colors of Benetton.
Continuando nella ricerca di un dialogo con i consumatori diverso dai "consigli per gli acquisti", la comunicazione Benetton esce nell'autunno dello stesso anno con una foto composta da oltre duemila foto-ritratto di giovani di tutto il mondo, elaborate al computer.
Le facce formano la parole AIDS, in una sorta di trompe d'oeil che soltanto l'abitudine dell'occhio all'immagine rivelerà. I volti sono sorridenti, ma su ognuno incombe l'incognita della malattia assurta a metafora di fine secolo.

 Febbraio 1995: due nuove immagini di Oliviero Toscani segnalano altre forme striscianti di isolamento.
La prima mostra un intreccio di antenne , la seconda diversi tipi di filo spinato.
A marzo sul "Nihon Sen-i Shimbum", quotidiano giapponese del settore tessile con 57 mila copie di tiratura e sul "Svanska Dagbladet", secondo quotidiano nazionale svedese, oltre che su molte altre testate, si afferma che il tema dell'alienazione dell'uomo viene proposto con una creatività che stimola la riflessione sulle prigioni virtuali e reali che opprimono la libertà dell'uomo.
La realtà continua a produrre choc.

2.1.7. Il problema dell'interpretazione

Il problema dell'interpretazione non si riferisce solo a chi crea l'immagine bensì a chi la fruisce.
In questo senso si può affermare che la verità della fotografia è inseparabile sia dal soggetto che produce l'immagine (e che interpreta soggettivamente la realtà ripresa) sia dal soggetto che contempla la stessa immagine.
Nel secondo caso il coinvolgimento ermeneutico riguarda o l'immagine nella sua globalità, oppure alcuni suoi aspetti particolari (il punctum di cui parla Barthes), attraverso comunque, secondo modalità diverse, sia la forma iconica sia i contenuti rappresentati di una determinata immagine fotografica.

 L'importanza dell'immagine fotografia risiede soprattutto in due fattori, l'uno di carattere positivo, l'altro negativo:
a) il primo fattore riguarda il fatto che la fotografia è uno strumento che permette all'individuo di esprimere la propria creatività visiva indipendentemente dall'apprendimento di quelle tecniche che sono proprie delle arti e dei mezzi d'espressione tradizionali come il disegno e la pittura: l'immagine è democratica, accessibile a chiunque individui in essa una capacità espressiva.
b) il secondo fattore è invece in relazione al fatto che la fotografia è un mezzo molto efficace per plasmare e manipolare le nostre idee e il nostro comportamento, proponendosi spesso come un sostituto dell'esperienza, dando quindi all'individuo l'illusione di una libertà ( e di una liberazione) che la realtà, il più delle volte, esclude.
Il messaggio che l'immagine trasmette può essere riconosciuto, decodificato a più livelli.

 A livello istintivo l'immagine ha un valore puramente referenziale, attraverso di essa possiamo attribuire un senso a ciò che osserviamo.
Questo livello, detto denotativo è quello che ci trasmette meno informazioni, è il meno interessante dal punto di vista della comunicazione.
Vi è poi un secondo livello, quello connotativo nel quale rintracciamo i significanti e traiamo il significato reale che l'immagine comunica.
A questo livello le immagini possono utilizzare un linguaggio "subliminale", possono comunicarci un di più che può avere caratteristiche diverse.
Può essere emotivamente coivolgente, può suscitare stupore, interesse, curiosità, paura o può tentare di far scattare in noi il desiderio dell'acquisto.
Anche la fotografia come l'arte ha una sua storia e la storia della fotografia potrebbe essere letta come la storia della lotta tra due differenti imperativi.
Quello estetico, nel senso di abbellimento, che proviene dalle Belle Arti e quello oggettivo, nel senso di "dire la verità", misurabile non solo in base a una nozione di verità che prescinde da ogni valore, derivata dai procedimenti scientifici, ma secondo un ideale moralistico tratto da modelli letterari ottocenteschi e dalla professione allora nuova del giornalismo indipendente.
Esistono poi tutta una serie di connotati che riguardano gli aspetti magici dell'immagine fotografica.
L'immagine fotografica è un segno iconico complesso, che si pone al contempo, per usare le stesse parole di Susan Sontag, come una pseudopresenza e l'indicazione di un'assenza.
La più banale delle fotografie cela o suscita, in tal modo, una certa presenza.
Noi spesso lo sappiamo, lo sentiamo, dal momento che portiamo le fotografie con noi, le conserviamo, le mostriamo - tralasciando significativamente d'indicare che si tratta di un'immagine e dicendo ad esempio "questa è mia madre" o "questi sono i miei figli" - non solo per soddisfare la curiosità altrui, ma per l'evidente piacere di contemplarle noi stessi ancora una volta, riscaldarci alla loro presenza, sentirle vicino a noi, con noi, piccole presenze tascabili.
Ma le immagini fotografiche -soprattutto quelle di persone o luoghi lontani, di città remote, di un passato svanito- sono incitamenti a fantasticare. La nostra irreprimibile sensazione che nel processo fotografico vi sia qualcosa di magico ha indubbiamente un fondamento autentico.
Nessuno pensa che un dipinto sia in qualche modo consustanziale al suo soggetto: esso si limita a rappresentare o a riferire.
Ma una fotografia non è soltanto una raffigurazione del suo soggetto, un omaggio ad esso; ne è parte integrante, ne è un prolungamento ed è un potente mezzo per acquisirlo, per assicurarsene il controllo.
La fotografia è un resoconto dello stato del mondo nella nostra assenza.
L'esploratore di questa assenza è l'obiettivo della macchina fotografica. Anche nei volti e nei corpi ricolmi di emozione e di pathos, la fotografia sembra esplorare sempre tale assenza.
Gli esseri che possono essere meglio fotografati (come ha suggerito il sociologo francese Jean Baudrillard) sono quelli per cui l'altro non ha esistenza o non ha più esistenza. Sono i non civilizzati, i reietti, le vittime, gli oggetti o ciò che è ridotto allo stato di oggetto. In tale direzione sembra che solo l'inumano possieda qualità fotogeniche.
E' tale il prezzo da pagare affinché sia operante una sorta di sbigottimento reciproco, una nostra complicità di fronte al mondo e del mondo nei nostri confronti.
Baudrillard ha fatto ben emergere un paradosso che si riferisce in generale alla tecnica e in particolare all'immagine fotografica in quanto immagine tecnica.
Tale paradosso consiste nel fatto che noi crediamo di violentare il mondo tramite la tecnica, ma spesso è invece attraverso la tecnica che il mondo impone a noi, nella sorpresa, la sua presenza.
Così crediamo di fotografare una particolare scena per il piacere stesso di compiere un atto fotografico, in realtà è la scena che, per cosi dire, esige di essere fotografata, e il soggetto che fotografia non è altro, in tal modo, che il mezzo della sua messa in scena.

 2.1.8. Il concetto di target

Oggi ci poniamo il problema di capire quale sia e se esista un linguaggio specifico attraverso cui le nuove tecnologie si esprimono.
Abbiamo visto come in passato, anche i futuristi si erano posti il problema dell'assemblaggio della realtà, dovuta al fatto che la possibilità di riproduzione tecnica della realtà ne rinnovava le possibilità e gli obblighi verso il pubblico.
Occorre analizzare meglio, anche alla luce dei diversi tipi di effetti ottenuti sul pubblico da parte delle campagne Benetton, il concetto di pubblico e in particolare il concetto il target, chiarendo il più possibile il vero significato delle parole che utilizzo e delimitandone i significati.
Questo perché esistono parole e concetti di cui facciamo un uso scorretto che concorrono a rendere i nostri discorsi poco chiari e utili sia per chi li scrive che per chi li legge.
Per esempio, non siamo soliti pensare che multimedialità e interattività non sono gli unici termini "nuovi", coniati dalla nascita delle nuove tecnologie di cui parliamo.
In realtà questi ultimi due termini vengono utilizzati come "nuovi" a tal punto da costituire quasi la moda di fine secolo, mentre al contrario "target" viene utilizzato come un concetto che è sempre esistito nella società mentre esso è databile recentemente.
Esistono una serie di termini e di concetti relativamente nuovi e frutto di un'elaborazione culturale che più di altri sono entrati nel nostro linguaggio comune e sono quindi considerati parte integrante della nostra cultura esattamente come se esistessero da sempre.
Fermarsi ad osservare cosa intimamente presuppone un concetto come "target", ad esempio, può essere utile per capire come la nostra mentalità stia cambiando ad un ritmo talmente veloce che non siamo più in grado di riconoscere il nuovo o l'originale.
Parlo di "target" perché mi serve in questo momento analizzare il pubblico e capirne i desideri e le esigenze reali, al di là di quelle forzature e quei bisogni che il mercato suole imporre (subdolamente) ma potrei riferirmi ad altri concetti quali direct marketing, per il quale vale lo stesso ragionamento.
Il concetto di target non è esistito fino a cento anni fa. Non esisteva il concetto di target perché non esisteva un pubblico per come lo si conosce ora.
Anzi fino al 1929, l'anno della grande crisi e del tracollo azionario di Wall Street, la grande impresa mondiale aveva ragionato in termini "product oriented".
Ciò significa che il mercato era stato orientato e pilotato dai grandi produttori e dalle imprese che, in base alle scelte strategiche di materiali e manodopera specializzata, avevano deciso quali tipi di prodotti e con quali caratteristiche, dovevano finire sugli scaffali dei negozi di tutto il mondo.
Il mercato funzionava in base alla volontà dei produttori.
Dopo quella data e a causa degli eventi di quel periodo che hanno completamente sovvertito il motore della macchina economica ci si è resi conto che si sarebbe dovuto tener conto delle esigenze del pubblico, orientarsi in qualche modo su una domanda esterna e non più sulla capacità di imporre i propri prodotti.
A questo punto due sono le fasi che hanno attraversato la grande impresa; in un primo tempo la presa di coscienza dell'esistenza di una volontà popolare che aveva la possibilità di imporre le sue esigenze e i suoi desideri facendo oscillare la curva della domanda.
In seguito un altro tipo di presa di coscienza, questa volta interno all'azienda stessa, ovvero la possibilità di pilotare questa volontà popolare e di orientarsi ad una clientela che a sua volta è stata forzatamente orientata al prodotto.
Sono questi gli anni in cui nasce il marketing e si ristruttura completamente la pubblicità, sia dal punto di vista della produzione che della fruizione.

 Se fino agli anni `60 infatti l'individuo non contava dal punto di vista delle grandi strategie della produzione e esisteva solo la figura indifferenziata del compratore, con l'inizio degli anni `70 è nato, con l'aiuto della diffusione della tecnologia informatica, il direct marketing, che ha permesso che ogni singolo messaggio pubblicitario potesse essere personalizzato.
Oggi esiste il cosiddetto "one to one Business" che ha la pretesa di stabilire un rapporto personale con il cliente.
In realtà non si tratta di un'innovazione, nel senso che un rapporto privilegiato con il cliente è sempre stato ricercato nella piccola distribuzione, ad esempio il bottegaio era sempre la persona più gentile e disponibile e ogni cliente della bottega instaurava un rapporto di rispetto e di fiducia con il suo venditore.
Oggi anche la grande industria vuole avvicinarsi al suo cliente, stabilire un rapporto personalizzato, fornirgli un prodotto che deve sembrare progettato e realizzato su misura per lui.
Con Internet questo è possibile. Con le nuove tecnologie si può raggiungere il pubblico con nuovi mezzi, si può instaurare con esso un rapporto nuovo e più personale.
Prima dell'avvento del termine "frazionamento del mercato" per pubblico si intendeva un gruppo di persone che per caso si trovavano ad essere riunite in un luogo ma che avevano una propria individualità, dei propri desideri assolutamente non pilotabili o comunque relativamente indirizzabili.
Il concetto odierno di pubblico è allo stesso tempo atomizzato e indifferenziato, in balia delle mode ma attento nel momento dell'acquisto, difficilmente pilotabile ma "vorace di novità, disposto ad acquistare prodotti nuovi, disponibile ad una eventuale nuova offerta".
Questo deve farci riflettere sulle opportunità che il mercato ha di proporre nuovi prodotti ad un pubblico così ricettivo.
D'altro canto deve stimolarci nella ricerca di sempre nuove soluzioni per la creazione di offerta informativa qualitativamente valida, ricca di contenuti e attenta alle esigenze del pubblico.
Non è pensabile, a mio parere, che un mezzo di comunicazione potente quanto la rete possa essere utilizzato come "grande vetrina pubblicitaria" e che una tecnologia avanzata come il CD-ROM possa vedere nei suoi utilizzi i giochi o le enciclopedie.
Io vedo in questi nuovi strumenti delle capacità nuove, ancora assolutamente impraticate e ritengo sia importante impiegare delle forze collettive che analizzare i mezzi a nostra disposizione e trovare un modo per esprimerne potenzialità.
Ciò che ritengo di primaria importanza è l'analisi di questi mezzi alla luce di un attento esame del nuovo pubblico, o di un pubblico tradizionale che è disposta ad adattarsi ad una nuova fruizione del mezzo di comunicazione pur di avvantaggiarsi delle nuove possibilità che esso promette.
In questo senso parlare di target significa sempre di più avvicinarsi al pubblico, alle sue esigenze e tentare di proporre degli strumenti per la lettura della realtà agevoli e di facile accesso.

 2.1.9. Il punto di vista: accenni sulla realtà virtuale

Come la fotografia ha costituito per le avanguardie storiche un punto di partenza per la rivoluzione visiva, uno strumento nuovo per ampliare la propria capacità di rappresentazione del mondo, la mitologia virtuale costituisce oggi l'area progettuale in cui si moltiplicano i punti di vista .
Fra i teorici pionieri della materia, Derrick de Kerckhove, già allievo e collaboratore di Mc Luhan, direttore del Mc Luhan Programme in Culture and Technology dell'Università di Toronto, considera gli artefatti tecnologici come risorse estensive delle facoltà umane.
Nella realtà virtuale egli vede il superamento della dimensione prospettica rinascimentale fondata sulla costrizione del punto di vista, nucleo di ogni simulazione visuale, mediante l'immersione totale in una rappresentazione polisensoriale percepibile a trecentosessanta gradi, nella quale i concetti di orizzontalità, di frontalità, di linearità sarebbero grandemente ridimensionati.
Il punto di vista, in quanto fondazione del soggetto verrebbe sostituito dal point d'etre: la realtà artificiale diverrebbe allora "presenza sul corpo", in contatto con la realtà esistente e con l'indivisibilità psicosensoriale del soggetto .

  • 2.1.10. Conclusioni
  •  Queste riflessioni possono esserci utile per riconsiderare il periodo storico in cui viviamo, un periodo caratterizzato da sorprendenti congiunture culturali ed economiche.
    In primo luogo la caduta del concetto di organizzazione, pilastro dell'economia e della società fin dall'inizio del secolo.
    L'organizzazione intesa come ottimizzazione delle risorse, gestione dei cicli produttivi, concentrazione dei poteri può dirsi completamente tramontata.
    Inoltre è scomparsa la nozione di gerarchia, distrutta dal suo inserimento massiccio nella società delle telecomunicazioni.

     Se si pensa che ogni 5 anni il costo della microelettronica, base portante di tutte le tecnologie della comunicazione, si riduce di un fattore 10, si può avere un'idea delle dimensioni della cosiddetta "rivoluzione telematica".
    Il nuovo problema che il mondo della comunicazione deve affrontare oggi, e che forse costituisce una delle principali differenze con il mercato e la situazione sociale degli anni delle avanguardie, si può riassumere con una frase tratta dalla sapienza proverbiale:
    Troppa grazia San Antonio!

     La società oggi si trova nella situazione di dover "inventare" nuovi prodotti, creare dal nulla una nuova offerta per un pubblico sempre più vorace, abituato a ritmi frenetici che accorciano ineluttabilmente i tempi di utilizzo di qualsiasi bene.
    L'organizzazione oggi è sostituita dalla ricerca di una identità salda, sia da parte delle aziende che operano sul mercato che da parte di chi si occupa di sperimentare nuove tecnologie.
    Nel primo caso mi riferisco alle ricerche sulla brand image sviluppate in pubblicità, sulla necessità di creare un forte identificazione tra il prodotto e l'azienda produttrice o tra il prodotto e l'immagine proposta. Nel secondo caso, parlo della costruzione di vere e proprie comunità virtuali e non, caratterizzate da un forte senso di appartenenza a un'ideologia o a comuni interessi.
    Ma ciò che sta avvenendo oggi è una strana inversione di tendenza.
    Mentre fino a solo qualche tempo fa chi si occupava di tecnologia dell'informazione e delle relative sperimentazioni era il nerd alla Bill Gates, gestore di società produttrici di prodotti multimediali, informatici con occhialini e biro nel taschino oggi sta nascendo una nuova generazione di sperimentatori, quella che io intravedo essere la nuova avanguardia.
    Sono i nipotini di Andy Warhol , giovani appena usciti dal college che passano giorno e notte in una cantina con due computer per creare successi come SonicNet, il sito web musicale del momento o i prodotti multimediali per le maggiori case editrici.
    Si tratta di designer, musicisti e computer amatori, spesso programmatori autodidatti disposti a tutto pur di avere tra le mani una workstation. In questo contesto si situa la nascita della cultura hacker, formatasi in seguito alle sperimentazioni di giovani cultori dell'informatica impegnati nella creazione di meccanismi di fruizione alternativi dell'informazione spesso oltre i confini con la legalità.
    Personaggi come Jerry Yang e David Filo giovani laureati in ingegneria elettronica alla Standford University che hanno creato nel 1994 uno dei motori di ricerca su Internet più potenti ed efficienti: Yahoo!

     Come nel 1668 il filosofo inglese John Wilkins presentò la sua classificazione universale della Reale Società Inglese, essi intendono indicizzare tutti i siti presenti in rete , attraverso una sorta di titanica "classificazione della conoscenza".
    L'imponenza di questa missione non consiste forse nella quantità di siti da censire quanto piuttosto nella loro conformazione, nella loro organizzazione ramificata, ipertestuale, non gerarchica che comprende tutta la conoscenza umana o una parte di essa assolutamente non quantificabile.
    Si tratta di un caso estremo, citato come esemplificazione di un enorme entusiasmo collettivo, sfortunatamente ancora poco presente in Italia.
    In realtà il prossimo passo sarà individuare quello che ho chiamato il linguaggio proprio delle nuove tecnologie, che consisterà a mio parere in un nuovo modo di riconfigurare la conoscenza, un codice di decriptazione, una chiave di lettura dell'informazione.
    Ciò che si era intravisto nel montaggio e che si è sperimentato con la logica ipertestuale è , a mio avviso, il percorso che si sta utilizzando per individuare il modo con cui le nuove tecnologie si esprimeranno per trasmetterci l'informazione giusta, al momento giusto. Qualcosa che congloberà l'interattività e che si fonderà su basi reali.
    La virtualità da questo punto di vista è morta. Anche i giochi elettronici ne avvertono il decesso; per virtualità intendo gli ambienti virtuali, ovvero ambienti che si distaccano troppo dalla realtà per essere percepiti come plausibili e ne abbiamo la prova nel fatto che oggi il videogame più di moda è Doom, un gioco ambientato in una situazione reale, umana, e non altri giochi che vedono come protagonisti mostri o situazioni troppo centrate sulla fantasia.

     Il nuovo linguaggio avrà dei connotati fortemente reali, sarà "intelligente" o "esperto" in gusti e tendenze del proprio fruitori, smetterà di visualizzare l'informazione secondo la metafora spazio-temporale, che è "un monumentale fallimento dell'immaginazione, con il solo pregio di esserci familiare" .
    Inoltre sarà un linguaggio globale, che cambierà la "logistica della percezione".
    A questo proposito Paul Virilio afferma:

     "Le tecnologie delle fibre ottiche, del telescopio, delle trasmissioni elettromagnetiche di messaggi video e ovviamente la computer grafica e le nuove tecnologie dovranno fare i conti con un campo di sviluppo globale, in senso planetario, non nel senso che questa parola aveva durante la prima o la seconda guerra mondiale".

    Virilio afferma inoltre, con una pessimistica previsione, che l'infosfera, la sfera dell'informazione, si imporrà sulla geosfera costringendo gli abitanti del pianeta a vivere in un "mondo ridotto".
    Infatti, questo sta già avvenendo attraverso la "speed pollution" che sta riducendo il mondo a zero.